Tv e noccioline
“Odio la televisione. La odio come le noccioline. Ma non riesco a smettere di mangiar noccioline.”
In questa intervista al New York Herald Tribune del 1956 Orson Welles conia decenni e decenni di successivo dibattito sulla televisione, in una sola frase: più la odi, più la guardi.
Ed è una frase che riassume in breve anche tutto il dibattito presente(ma anche passato e futuro) sul Festival di Sanremo. In questi giorni mi hanno particolarmente stupito le decine e decine di post sul festival, con i meme, i commenti agli scandali o ai gossip.Continuano a stupirmi, invece, quei commenti che commentano Sanremo spiegando il perché non avrebbe senso commentarlo.
Faccio un esempio:
“Non lo so. Non vorrei che la degenerazione intellettuale o simile portasse a voler analizzare sempre tutto e per forza adducendo a quali ragioni o storia. Personalmente ciò che ha fatto Blanco non l’ho trovato grave. Ma semplicemente imbarazzante e ridicolo. Nulla di più. Ancora più se concordato da un punto di vista artistico. Altro mi sembrerebbe radical chicchismo militante ed annoiato.” Il post era riferito al dibattito generato dall'esibizione di Blanco che ha distrutto il set floreale del palco nel corso della sua esibizione come sfogo causato da un problema tecnico.
Commento al post: “ Concordo…è solo una stupidaggine di dubbio gusto!! Parlarne mi sembra veramente eccessivo!!”
Il primo...dei cinquantuno successivi in cui si passa dall’indignazione al sostegno verso il cantante, dall’imbecillità delle nuove generazione al “beati coloro che non hanno fatto cazzate a 20 anni”.
Ma se il punto iniziale era non parlarne, perché ne stiamo parlando? Non sarebbe il caso di smetterla con queste noccioline signor Welles?
Sanremo e (è) l'Italia
Il Festival di Sanremo non è solo semplicemente un festival musicale trasmesso in televisione; non è di certo il momento in cui conoscere il fantomatico paese reale, ma nemmeno solo canzonette.
Sanremo è un attore multiforme, un sistema mediatico ibrido di cui la televisione è il centro, ma che contempla e utilizza gli altri media per fotografare la cultura pop del momento e plasmarla. Basta guardare, nel corso dei giorni del festival, gli account social di Netflix, di Rayanair o di qualsiasi altro brand per accorgersi della produzione simbolica prodotta dal festival nell'immaginario collettivo.
Ma di anno in anno il festival è anche un intenso produttore di dibattito politico. Sembrano lontanissimi i tempi in cui Maurizio Crozza, nell’edizione del 2013, fu fischiato dal pubblicodell’Ariston per il suo monologo comico “fin troppo politico”. Il festival adesso è soprattutto politica. Fuori, a contorno di tutte le puntate c’è il dibattito, molto spesso sterile e veramente poco entusiasmante. Sul palco invece, tra monologhi e lettere, la politica diventa momento di riconciliazione. Uno spazio istituzionale, la cui titolarità quest’anno è stata assegnata persino dalla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per festeggiare i 75 anni della costituzione, primo Presidente a partecipare in veste ufficiale al festival.
Ma quando la politica è entrata nel Festival? Per capirlo bisogna tornare indietro ad un momento preciso della storia di Sanremo: alla sera del 2 febbraio 1984.
Breve archeologia del festival della canzone italiana
Prima di arrivare alla trentaquattresima edizione bisogna prima fare dei passaggi necessari per capire cos’è stato il festival nel corso degli anni all'interno della storia dell'Italia repubblicana:
1951 - nasce il festival della canzone di Sanremo come attrazione turistica per il periodo invernale, considerato “morto” per quelle località di mare come i lidi liguri. Le canzoni e l’esecuzione orchestrale è quello che conta più che i cantanti. Vince Grazie dei fiori.
1958 - “Finalmente una canzone” titola il settimanale Epoca, parlando di Volare di Domenico Modugno, vincitrice dell’edizione del festival di quell’anno. Per Epoca il successo di Modugno sta nell’aver portato un motivo moderno e allegro al Festival, dove sinora avevano sempre trionfato le canzoni tristi e lamentose.
Volare diventa non solo un successo nazionale e internazionale, ma lo spirito di un’epoca: quella dell’Italia degli anni Sessanta, del boom economico. Un motivo talmente riconducibile all’Italia del boom che il PCI, per le elezioni di quell’anno, produrrà un manifesto contro Amintore Fanfani, segretario della DC e presidente del consiglio, in cui si legge «Dal blu / dipinto di blu / facciamolo / scendere giù».
1978 - dopo il successo del festival degli anni Sessanta e le prime edizioni degli anni Settanta, inizia un periodo di declino. Il lungo decennio del Sessantotto ha aperto molteplici forme e luoghi in cui si esprime la musica dell’epoca. Il festival ha un tono da sagra di paese, con canzoni stantie e banali. Unico extraterrestre, rappresentativo del mondo che c’è fuori è Rino Gaetano che canta Gianna.
1981 - La seconda conduzione di Claudio Cecchetto, giovane conduttore di Discoring, sembra riavvolgere il nastro verso i ruggenti anni Sessanta. Torna l’attenzione giovanile, gli ospiti internazionali e produrrà dei brani iconici del periodo: la sigla del Festival è Gioca Jouer, ma è il festival di Per Elisa, Maledetta primavera e di Sarà perché ti amo.
Insomma, l’Italia sta entrando negli anni Ottanta.
E arriviamo al 1984.
All’Ariston cantano gli operai dell’Italsider
“Incurante di premonizioni orwelliane, sostanzialmente indifferente alle sorti dell’Unione Sovietica, insensibile al grido di dolore delle ormai migliaia di morti ammazzati in Sicilia, Campania e Calabria(o forse per questi fattori combinati) l’Italia si dichiara a se stessa di essere felice” scrive Enrico Deaglio nel capitolo sul 1984 di Patria 1978-2008.
Conclusa la lunga fase dei movimenti sociali e delle lotte operaie, che subiranno un nuovo colpo dal governo Craxi con il taglio della “scala mobile”, l’Italia entra "felice" nella capitalismo neoliberista anni Ottanta. La borsa ha il suo boom e nascono i primi brooker e promoter finanziare. Il famoso slogan dello spot dell’Amaro Ramazzotti “Milano da Bere” sarà coniato l’anno successivo.
L’anno prima, invece, nel 1983 esce su Panorama Tv: la trasparenza perduta firmato da Umberto Eco in cui viene coniato per la prima volta il termine “neotelevisione”, per indicare il cambiamento della televisione anni Ottanta.
A differenza di quella che Eco definisce “Paleo tv” e che questa neotelevisione parla sempre meno del mondo esterno. “Essa parla di se stessa – scrive Umberto Eco – del contatto che sta stabilendo col proprio pubblico. Non importa cosa dica o di cosa parli ( anche perché il pubblico col telecomando decide quando lasciarla parlare e quando passare su un altro canale). Essa, per sopravvivere a questo potere di commutazione, cerca di trattenere lo spettatore dicendogli “io sono qui, io sono io, io sono te”
Questa mutamento della televisione, da mezzo ad attore sociale a tutti gli effetti, segnerà radicalmente la storia culturale del paese. Non è un caso che il 1984 è l’anno in cui Silvio Berlusconi compra l’emittente Rete 4 a Mondadori per 135 miliardi, costruendo l’impero delle tre reti Mediaset presenti ancora oggi.
Il 2 Febbraio su L’Unità, Michele Serra scrive che l’edizione di quell’anno rappresenta un’ultima “carta disperata” per il mondo discografico: “ il pauroso calo delle vendita (trenta per cento in meno) dell’83 – scrive Serra – ha provocato un’epidemia di cassa integrazione tra le aziende che fabbricano canzoni, e queste tre serate di diretta televisiva ed eurotelevisiva potrebbe fungere da brodetto caldo, se non da potente “grog” in grado di riassestare i bilanci almeno per qualche settimana.”
Anche Luciano Curino su La Stampa dello stesso giorno, dopo aver ricostruito il periodo di gloria e la fase di declino del festival, auspica che questo rinnovato festival abbia dato nuova linfa vitale a Sanremo.
“ La Sanremo story continua e aveva ragione Modugno quando profetizzava: Morto il Festival? Io e lei saremo sottoterra da un pezzo e qua si continuerà a suonare, cantare, votare, premiare, bocciare, piangere, ridere.”
E spera nella sua buona riuscita soprattutto la Rai."
Sul numero di Gennaio/Febbraio di Radiocorriere Tv, la rivista settimanale ufficiale della Rai, la giornalista Lina Agostini scrive Questo è il festival, un articolo che ci dà conto del clima e di quale Italia il festival vuole rappresentare:
“Ha trentaquattro anni, ma si comporta ancora come un bambino prodigio. Non vuole crescere preferisce invecchiare: allora fa i capricci, batte cattive strade, si nutre di frivolezze, canticchia. Eppure, nonostante le critiche, le chiacchiere che si trascina dietro sempre c’è in fondo la voglia di capirlo, di dargliele tutte vinte. Perché da trentaquattro anni questo Festival di Sanremo, “bambino prodigio” del made in Italy canoro, è la colonna sonora del nostro “bel paese” […] E’ l’Italia sceneggiata in tre minuti di refrain, coccolata dal motivo orecchiabile […] E’ l’Italia televisiva, ventitré milioni di spettatori nella passata edizione del Festival che per tre sere si trasferisce a Sanremo alla ricerca, cantante dopo cantante, canzone dopo canzone, di una telenovela casereccia. […]”
Il Festival manterrà le aspettative: grande partecipazione di pubblico con 6 milioni di votanti al Totip e 80 milioni di spettatori nelle tre sere del Festival, compresi gli spettatori che per la prima volta videro la finale del festival dagli Stati Uniti grazie ad un collegamento organizzato da Rai Corporation.
E fu il Festival anche dei Queen, i super ospiti internazionale dell’edizione, che suonarono sul palco dell’Ariston la mitica Radio Gaga.
La sera inaugurale però si aprì in un clima di tensione.
A raccontarlo è Michele Serra in prima pagina sul L’Unità del 3 Febbraio:
“Circa milletrecento operai, arrivati da Genova con sette pullman, tre vagoni speciali attaccati in coda al Roma-Ventimiglia e numerose auto private, stazionavano davanti al teatro Ariston a partire dalle 20:30 e le prime note della rassegna canora sono coincise con gli slogans urlati dalla folla di elmetti gialli, davvero insolita per il centro di Sanremo.”
La mobilitazione degli operai di Genova era non solo legata alle cause locali, come il tentativo di chiusura dello stabilimento OSCAR di Senigallia, ma più in generale alle condizioni economiche del paese e dell’attacco contro gli operai portato avanti dal governo che in quei giorni continuava a discutere la manovra economica.
“ Pippo Baudo – continua Serra – secondo accordi intercorsi nel pomeriggio tra sindacato, organizzazione e Rai tv avrebbe dovuto leggere un comunicato di una trentina di righe, riassunto del documento approvato in mattinata dall’assemblea dei lavoratori.”
Pippo Baudo però ad inizio festival ha fatto solo cenno al comunicato senza leggerlo. Così la tensione fuori è salita tra gli operai e uno schieramento di un centinaio tra poliziotti e carabinieri a presidiare il teatro.
Mentre sul palco si alternavano le canzoni, Baudo personalmente è uscito più volte per calmare i manifestanti. Dopo un altro colloquio con i sindacati, alle 21:30 Baudo fa salire sul palco i sei rappresentanti del consiglio di fabbrica dell’Italsider:
Dal palco gli operai ringraziarono dell’opportunità e si scusarono per il disturbo. Il pubblico applaudì fragorosamente.
“Noi non ce l'abbiamo con la canzonetta, ma vogliamo far sapere qual è la nostra situazione – dice uno dei degli operai nell’intervento riportato integralmente in prima pagina su La Stampa - È drammatica per noi e per le nostre famiglie. Siamo 10 mila. Con questo nostro atto non abbiamo inteso impedire né tanto meno disturbare lo spettacolo atteso dagli italiani Ma soltanto richiamare l'attenzione di tutti”
“Il palcoscenico non vi è stato concesso – ha detto Baudo – ma vi si doveva dare”
Altro grande applauso del pubblico.
Nessuno si aspettava che l’applauso più grande del festival – commenta Michele Serra su L’Unità – andasse agli operai dell’Italsider.
Questa pacificazione attuata da Baudo ha fatto concludere la manifestazione fuori il teatro e ha ristabilito la calma, nella prima occasione in cui la politica si è affacciata sul palco dell’Ariston.
Le informazioni riportate in questo articolo sono tratte dagli archivi storici di La Stampa, L'Unità, Corriere della Sera, Panorama e Radio Corriere TV.
Il libro di Enrico Deaglio Patria 1978-2008 è edito Il Saggiatore.
Buon fine settimana!