NL di Radio Itineraria: Diario Cult di Luca Santangelo!
Pubblicato il 10/04/2022


Napoli, sostantivo plurale


Napoli.

Già solo il nome evoca alla mente una moltitudine di storie, sensazioni, immagini, suoni, odori,
vissuti intensi, terribili, affascinanti. Il primo ricordo che ho di Napoli è la casa dei nonni in Via Giacomo Leopardi: il portone che nascondeva il piccolo cortile condominiale, l’ascensore antico con la porta esterna in ferro battuto e il corridoio stretto con la finta cassettiera che nascondeva un letto dove mio padre dormiva da piccolo.

Ricordo la vista sulla via dalla finestra del salotto: i tetti delle case rossi, gialli e arancioni incastonati uno sull’altro. Nei miei ricordi di bambino questi tetti mi sembravano quasi lottare, per conquistarsi un po’ più di spazio, per essere la casa che riesce a dominare su quel lungo mare di finestre, usci, balconi e portoni così diversi dai palazzi e gli ampi spazi a cui ero abituato a Latina.

Su questi primi ricordi personali, privati, singolari si basa la stratificazione di cui è composta Napoli.

Rispetto ad altre città italiane, in cui i diversi periodi storici hanno spazi ben distinti, nelle vie di Napoli convivono tutti i periodi della storia della città: dai greci ai giorni nostri, passando per i romani, i bizantini, i normanni, gli angioini, gli aragonesi e i borbone.

Questo suo carattere geografico si ripercuote nei vissuti delle persone. Ci sono mille modi di viverla, mille opinioni su cosa c’è di buono e su cosa no, mille modi di tifare il Napoli e mille pizzerie che sono “la migliore di Napoli”; ma tutte queste mille città convivono contemporaneamente, in modo stratificato l’una sull’altra.

E non c’è esempio migliore, per spiegare questo concetto della stratificazione napoletana, della canzone Marechià dei Nu Genea.

Non ricordo quando ho ascoltato per la prima volta uno dei pezzi del duo composto da Massimo Di Lena e Lucio Aquilina, ma ricordo di aver comprato Nuova Napoli, album uscito nel 2018, al Disco d’oro a Bologna, lontano da Napoli. E questo già rappresenta l’essenza di una musica che nasce sulla nostalgia di una città, di sensazioni vissute, attraverso una moltitudine di sonorità “dal folk delle Antille al boogie nigeriano”.
Ricordo di aver mandato, come tante altre cose che riguardano Napoli, la foto del disco a mio padre che, come tante altre cose che riguardano Napoli, già conosceva.

Pur abitando ormai da molti a Latina mio padre, come la sua famiglia trapiantata a Latina, è un Napòlide, utilizzando un’espressione di Erri De Luca presente nell’omonimo libro pubblicato dalla Libreria Dante&Descartes, storica libreria di Via Mezzocannone. Per Erri De Luca "chi nato a Napoli si stacca, perde la cittadinanza. E’ Napòlide. Porta nel sistema nervoso un apparecchio cercapersone messo dalla città in ognuno dei suoi." Questo apparecchio è il modo della città di conservare la sua stratificazione e mio padre, fin da quando ero piccolo, ci ha trasmesso quanto veniva emesso dall’apparecchio: dalle commedie di Eduardo alla ricetta della pastiera, dai ricordi delle feste passate dai parenti alla casa di Via Tribunali alle partite del Napoli in televisione che si appropriano dei suoni della casa. Tutte cose depositate nella nostra quotidianità pur non avendo mai vissuto a Napoli.

La musica dei Nu Genea è Napòlide. Ascoltare i pezzi di Nuova Napoli fa vibrare questo apparecchio cercapersone facendo riemergere tutti gli strati di cui siamo composti. Ma la vibrazione provocata dall’ascolto di Marechià, singolo uscito la scorsa estate, in anteprima del prossimo album del duo che uscirà prossimamente, per quanto mi riguarda è ancora più forte. Il pezzo viene presentato come “una canzone funk disco in lingua napoletana che si fonde con il francese in un perfetto equilibrio di sintetizzatori e chitarre, cotti nel loro caratteristico suono distintivo.”

Il brano ti rapisce già dal primo ascolto. Non solo per la musica accattivante, per la stupenda voce di Celia Kameni, ma per le immagine che riesce ad evocare. Ogni volta che parte il tema iniziale di Marechià ho davanti agli occhi il me bambino che fa i primi tuffi al mare, la terrazza di casa piena di sole, gli spaghetti al pomodoro, la voce di nonna Rosa, la prima partita del Napoli vista nel 1999 allo Stadio San Paolo, tappandomi le orecchie per proteggermi dal frastuono dello stadio; il tavolo con la tovaglia bianca della pizzeria sotto casa, la giornata passata con Papà a Castel dell’Ovo, la compilation di canzoni di Pino Daniele che ha accompagnato per anni i nostri viaggi estivi e il primo pomeriggio di giochi a Edenlandia. Mille Napoli mi si illuminano davanti agli occhi. Tanti ricordi che come candele si accendono nel piattume quotidiano di una normale settimana.

Il testo, cantato da Celia Kameni, racconta di un incontro disatteso, due persone che non riescono a
incontrarsi per il continuo ritardo di uno dei due. L’appuntamento disatteso, il mancato incontro
raccontato nel testo, entra in contrasto con le moltitudini di sonorità su cui si basa il pezzo e sull’incontro tra il francese e il napoletano. Contraddizioni che convivono perfettamente l’una con l’altra.
Come le mille città di Napoli. Come i mille strati della nostra vita.

 

Ce verimm'